21 marzo 2013
22 marzo 1986 - Muore avvelenato in carcere Michele Sindona
Michele Sindona (Patti, 8 maggio 1920– Voghera, 22 marzo 1986)
E' stato un banchiere e criminale italiano.
Sindona è stato un membro della loggia P2 (tessera n. 0501)e ha avuto chiare associazioni con la mafia. Coinvolto nell'affare Calvi e mandante dell'omicidio di Giorgio Ambrosoli, è morto avvelenato in prigione, dopo la condanna all'ergastolo.
Mandante dell'omicidio Ambrosoli
Nel 1977 Sindona si incontrò spesso con il suo Gran Maestro Licio Gelli per elaborare piani di salvataggio della Banca Privata Italiana; Gelli stesso interessò l'onorevole Giulio Andreotti, il quale gli riferì che "la cosa andava positivamente" ed incaricò informalmente il senatore Gaetano Stammati (affiliato alla loggia P2) e l'onorevole Franco Evangelisti di studiare il progetto di salvataggio della Banca Privata Italiana, il quale venne però rifiutato da Mario Sarcinelli, vice direttore generale della Banca d'Italia[11]. Inoltre Sindona chiese denaro al banchiere Roberto Calvi per rimette in piedi le sue banche ma, fallito questo tentativo, iniziò a ricattarlo attraverso le campagne di stampa del giornalista Luigi Cavallo che mettevano in luce le attività illegali del Banco Ambrosiano diretto da Calvi.
In questi anni Sindona incanalava nelle sue società finanziarie gli investimenti del mafioso americano John Gambino; attraverso Sindona e Gambino, i boss Stefano Bontate, Salvatore Inzerillo e Rosario Spatola investivano il loro denaro sporco in società finanziarie e immobiliari estere: tutte le transazioni finanziarie che riguardavano il riciclaggio avvenivano nella Finabank di Ginevra (in cui la Banca Privata Finanziaria aveva una partecipazione di controllo) e l’Amincor Bank di Zurigo, la quale ufficialmente non era riconducibile a Sindona.
Nel 1979 Ambrosoli ricevette una serie di telefonate intimidatorie anonime nelle quali il suo interlocutore (indicato da Ambrosoli con il termine convenzionale di "picciotto" per via del suo accento siciliano; l'autore delle telefonate anonime era il massone Giacomo Vitale, cognato del boss mafioso Stefano Bontate. L'11 luglio 1979 Ambrosoli venne ucciso con quattro colpi di pistola dal malavitoso americano William Joseph Aricò, che aveva ricevuto l'incarico da Sindona stesso attraverso il suo complice Robert Venetucci (un trafficante di eroina legato a Cosa Nostra americana) mentre nei pedinamenti ad Ambrosoli per preparare l'omicidio, Aricò era stato accompagnato da Giacomo Vitale, l'autore delle telefonate anonime; il delitto venne eseguito per rimuovere un ostacolo, rappresentato da Ambrosoli, alla realizzazione dei progetti di salvataggio delle banche e per terrorizzare Enrico Cuccia, presidente di Mediobanca ed oppositore del piano di salvataggio.
Due giorni dopo la condanna all'ergastolo, fu avvelenato con un caffè al cianuro di potassio nel supercarcere di Voghera, il 20 marzo 1986: morì all'ospedale di Voghera dopo due giorni di coma profondo. Sindona era stato visitato in carcere da Carlo Rocchi che lo aveva rassicurato dell'aiuto degli americani per le sue vicende. La sua morte è stata archiviata come suicidio poiché il cianuro di potassio ha un odore particolarmente pregnante e quindi risulta difficile l'assunzione involontaria; il comportamento e i movimenti di Sindona stesso lo confermavano, facendo pensare a un tentativo di auto-avvelenamento per essere estradato negli Stati Uniti, coi quali l'Italia aveva un accordo sulla custodia di Sindona legato alla sua sicurezza e incolumità. Quindi un tentativo di avvelenamento lo avrebbe riportato al sicuro negli Stati Uniti. Sindona fece di tutto per ottenere l'estradizione negli Stati Uniti e l'avvelenamento, secondo l'ipotesi più accreditata, fu l'ennesimo tentativo. Quella mattina andò a zuccherare il caffè in bagno e come ricomparve davanti alle guardie carcerarie gridò: «Mi hanno avvelenato!». Resta comunque plausibile l'ipotesi che la persona fino a oggi ignota che gli fornì il veleno, lo manipolò in modo che lo portasse alla morte e non, come previsto, a un semplice malore, magari in accordo con chi lo avrebbe voluto togliere di mezzo.
Il giornalista e docente universitario Sergio Turone ipotizza che fu Andreotti a far pervenire la bustina di zucchero contenente il cianuro fatale a Sindona, facendo credere a quest'ultimo che il caffè avvelenato gli avrebbe causato solo un malore. Secondo Turone, il movente del presunto omicidio sarebbe stato il timore che Sindona rivelasse durante il processo d'appello segreti riguardanti i rapporti tra politici italiani, Cosa Nostra, e la P2: "fino alla sentenza del 18 marzo 1986 Sindona [aveva] sperato che il suo potente protettore [Andreotti] trovasse la via per salvarlo dall'ergastolo. Nel processo d'appello, non avendo più nulla da perdere, avrebbe detto cose che fin ora aveva taciuto". Va tuttavia sottolineato che tale ipotesi non è stata suffragata da alcuna prova concreta che implichi in alcun modo Andreotti nella morte di Sindona.
Ancora nel 2010, Giulio Andreotti riportava un giudizio positivo su Sindona: «Io cercavo di vedere con obiettività. Non sono mai stato sindoniano, non ho mai creduto che fosse il diavolo in persona. Il fatto che si occupasse sul piano internazionale dimostrava una competenza economico finanziaria che gli dava in mano una carta che altri non avevano. Se non c'erano motivi di ostilità, non si poteva che parlarne bene.
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